Un istinto da scoprire

Quel che devi ai tuoi genitori

Strano, che tu abbia compassione di chi stenta a camminare e non di chi stenta a ragionare, di chi è cieco negli occhi e non di chi è cieco nel cuore.

Khalil Gibran

La vita, come ben sappiamo, non è facile per nessuno. Ognuno di noi scalcia, corre, si ribella e cerca un po’ di adattarsi, un po’ di adattare la strada a lui, con gli strumenti che ha e con quelli che riesce a costruirsi lungo il percorso.

Ci sono tante cose che non scegliamo noi, ma con le quali dobbiamo imparare a vivere; geni difettosi, maltrattamenti o malattie, solo per dirne alcune. Ciascun individuo ha una sua storia, con la propria sofferenza e le relative conseguenze da portare a lungo sulle proprie spalle.

Quante volte ci siamo davvero fermati a chiederci che tipo di peso stiano portando gli altri?

Quante volte abbiamo fatto qualcosa per aiutare?

“Già ho tanti problemi io, figuriamoci se ho tempo ed energie per quelli degli altri!”

 

Eppure, ciò che sembra sempre sfuggirci è che gli altri siamo anche noi. Ma questo che cosa significa realmente?

Quanto è possibile capire il dolore, l’amore di un altro? Fino a che punto possiamo capire coloro che vivono tra dolori, frustrazioni e angosce più profonde delle nostre? Se capire significa mettersi al posto di colui che è diverso da noi, i ricchi e i dominatori del mondo hanno mai potuto capire milioni di miseri emarginati? Orhan Pamuk

 

Quando cerchiamo di guardare le persone oltre alle apparenze, facciamo un esercizio di comprensione in cui tentiamo d’immaginare e d’indagare quali siano le motivazioni che guidano quella persona (cosa che dovremmo imparare a fare anche per noi stessi). In più, nel momento in cui sentiamo la sofferenza dell’altro e ci muoviamo per aiutare, ecco che stiamo probabilmente provando compassione.

La compassione è un’emozione che ci permette di comprendere il dolore altrui e che ci spinge ad alleviarlo, a prendercene cura.

Quando pensiamo ad essa, ci viene in mente qualcosa di gentile ma debole, che denota una certa vulnerabilità. E’ anche il nostro poco impegno nel comprenderla che ci ha portato a sottovalutarla.

Infatti, è comune confonderla con l’empatia (che si riferisce in maniera più generica all’abilità di mettersi nei panni altrui) ed entrambe possono condurre a un comportamento altruistico. Dunque, sebbene i tre concetti siano eventualmente connessi, rimangono aspetti diversi della capacità di cooperazione che può mostrare l’uomo nei confronti di altri esseri viventi.

Ma la compassione non è solo questo; essa è un’emozione che permette di accettare i sentimenti difficili propri e altrui, di osservare senza giudizio, per aprire la nostra mente a un diverso senso di noi e dell’altro.

La compassione non è una relazione tra il guaritore ed il ferito. E’ un rapporto tra eguali. Solo quando conosciamo la nostra stessa oscurità possiamo essere presenti nel buio degli altri. La compassione diventa reale quando riconosciamo la nostra comune umanità. Pema Chödrö
 

Siamo naturalmente portati a evitare il dolore, ma la compassione ci permette di sostituire le emozioni negative sperimentate con quelle positive date dalla spinta ad aiutare l’altro piuttosto che a evitarlo o negarlo(1).

Infatti, nel momento in cui possiamo pensare in questi termini, siamo in grado d’iniziare a costruire uno spazio più comodo nella nostra mente, dove poter dare il benvenuto non solo al nostro dolore, ma anche a quello dell’altra persona.

 

Si prova compassione quando:

1. Viene percepita una sofferenza reale.

2. Si crede che la persona non si sia meritata o autoinflitta quel dolore.

3. Si è capaci d’immaginarsi nella stessa situazione.

 

In questi tre punti, dobbiamo tenere ben presente che sono le nostre credenze a determinare ciò che proviamo. Infatti, potrei pensare che quella persona non abbia un grande problema –eppure per lei lo è- o che si sia meritata ciò che gli è successo –possiamo davvero stabilirlo noi?- e semplicemente non arrivare a provare compassione.

Si tratta quindi di qualcosa da allenare di volta in volta, cercando di tenere fuori la nostra tendenza al giudizio. Generalmente giudicare ci risulta facile quando non siamo noi a trovarci in una determinata situazione o quando usiamo sempre la stessa chiave di lettura critica, per noi e per gli altri.

La compassione è definita come:

  1. La motivazione ad accudire le persone.
  2. Saper riconoscere e distinguere i bisogni e i disagi altrui.
  3. Essere coinvolti emotivamente dall’altro.
  4. Saper comprendere gli altri.
  5. Saper accettare e contenere il dolore senza esserne travolti.
  6. Non criticare o colpevolizzare pur non condividendo il comportamento altrui.

Dunque, allenare la compassione diventa utile non solo per imparare a prenderci cura degli altri, ma anche di noi stessi, guadagnandone un maggior senso di benessere(2).

Ecco per voi qualche spunto sul tema:

 
  • Usate l’immaginazione. Provate a pensare come persone più compassionevoli di quanto lo siate ora e immaginate quale sarebbe il vostro pensiero e il vostro comportamento. Ripensate ai vostri problemi con quest’atteggiamento. Come vi sentite? Meno arrabbiati e meno ansiosi?

 
  • Osservate. Imparate a dedicare attenzione alle persone che vi circondano.

 
  • Non maltrattatevi, imparate a rivolgere compassione prima a voi stessi. Sensi di colpa, auto critica e un dialogo interno squalificante, sono solo alcuni dei modi che abbiamo per trattarci male. A volte cerchiamo di essere perfetti per rispondere a requisiti che ci siamo imposti rigidamente, senza tener conto del fatto che siamo esseri umani, con le nostre debolezze, oscurità e vulnerabilità. Anche se avete intenzione di migliorare molte cose di voi, trattarvi male non vi porterà da nessuna parte, se non a un pianto disperato. Datevi un po’ di tregua e smettete di essere i bulli di voi stessi.

 
  • Fate qualcosa per gli altri. Iniziate, con piccoli gesti, a tentare di alleviare le pene altrui. Che cosa ne pensate?

 

La compassione non riguarda la gentilezza o la cedevolezza e certamente non è una debolezza. È una delle più importanti dichiarazioni di forza e di coraggio conosciute dall’umanità. È complessa e potente, contagiosa e autorevole. E, soprattutto, è forse l’unico linguaggio universalmente riconosciuto con la capacità di cambiare il mondo. Paul Gilbert

E voi che cosa ne pensate? Gli altri siamo anche noi?

Se volete, fatemelo sapere nei commenti e se vi è piaciuto l’articolo, condividetelo!

 

Gilbert, P. (2005). Compassion: Conceptualisations, Research and Use in Psychotherapy. Routledge.

Fredrickson, B. L., Cohn, M. A., Coffey, K. A., Pek, J., & Finkel, S. M. (2008). Open Hearts Build Lives: Positive Emotions, Induced Through Loving-Kindness Meditation, Build Consequential Personal Resources. Journal of Personality and Social Psychology, 95(5), 1045–1062.

(2) Cassell, Eric (2009). Oxford Handbook of Positive Psychology (2 ed.). New York, New York: Oxford University Press. pp. 393–403.

(1) Klimecki, M. O., Leiberg, S., Lamm, C., Singer, T. (2012). Functional Neural Plasticity and Associated Changes in Positive Affect After Compassion Training Cereb. Oxford Journals, 23(7), 1552-1561.

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