Tutti dobbiamo cambiare

Tutti dobbiamo cambiare

Il diavolo può sempre cambiare. Una volta era un angelo

ed è ancora in una fase di evoluzione.

Laurence J. Peter

Quando qualcuno intorno a noi cerca di cambiare, ad esempio, migliorando l’empatia, la pazienza o le sue capacità comunicative, quante prove ci servono per concludere che sia effettivamente cambiato? O, al contrario, quante “ricadute” tolleriamo prima di decidere che è tutto inutile perché non cambierà mai?

Queste sono le domande protagoniste di uno studio nel quale è stato rilevato che, quando valutiamo il cambiamento in noi o negli altri, non riusciamo a notare i segni di miglioramento, ma addirittura esageriamo quelli di declino.

Cioè, quando il nostro irascibile amico riesce a non risponderci male per due settimane, non mettiamo la nostra attenzione sul fatto che stia facendo dei progressi. Invece, ci aspettiamo che stia solo accumulando energie negative e che prima o poi esploderà su di noi. Infatti, quando questo accade, non facciamo altro che concludere che lo sapevamo già e che era solo questione di tempo prima che tornasse a mostrare “la sua vera natura”.

E lo stesso facciamo con noi nel valutare i nostri di progressi, proprio come se in realtà, non credessimo affatto che cambiare sia una cosa possibile.

Ah, il carattere, quel maledetto insieme di tratti già dati e appresi dalla famiglia e dalla società che determinano il nostro comportamento. Se solo potessimo cambiarlo!

Quindi, è tutto qui? Siamo davvero così impotenti di fronte a noi stessi?

Spesso mi è stato chiesto se sia possibile cambiare davvero e io neppure una volta ho avuto dubbi nel rispondere “certo che è possibile”.

Ma che cosa significa “cambiare davvero”, che esiste anche un cambiamento meno vero?

In effetti, la maggior parte di noi ha un’idea estrema di quel che significa cambiare e in linea con questa, le azioni che vengono in mente per modificarci sembrano proprio al di fuori delle nostre possibilità.

Cambiare, però, non significa che Carlo debba trasformarsi in Giulio o Marta in Eleonora. Paradossalmente, cambiare significa proprio diventare più simili a sé stessi e non diventarlo di meno.

Per capire meglio, pensate a un diamante. Allo stato grezzo, assomiglia ad un sasso che la maggior parte delle persone non degnerebbe di uno sguardo. È solo grazie all’abilità del tagliatore che la scintillante bellezza nascosta può uscire fuori.

Noi siamo proprio come quel diamante, e allo stesso tempo ne siamo anche il tagliatore. La bellezza è già lì, ma siamo noi a dover lavorare ciò che è grezzo per farlo diventare un gioiello; senza cercare di diventare chi non siamo -ogni gemma è un pezzo unico-, ma tirando fuori chi sentiamo di essere davvero.

E questo è un lavoro che, bene o male, stiamo portando avanti da tutta la vita.

Erik Erikson con la sua teoria psicosociale individua otto stadi di sviluppo che riguardano l’intero arco di vita di un individuo, dall’infanzia alla vecchiaia e, ciascuno di questi, è caratterizzato sostanzialmente da un conflitto o da una vera e propria crisi evolutiva, che solo quando sarà superata potrà portarci allo stadio successivo di sviluppo; questo, al fine di arrivare a conquistare un senso di sé, di un’unità interiore.

Ciò ci suggerisce che per un individuo incontrarsi e scontrarsi con il cambiamento non è solo inevitabile, ma parte integrante e necessaria del suo sviluppo.

Cioè, secondo Erikson, crisi e conflitti sono qualcosa di positivo e necessario; vere e proprie risorse da cui noi possiamo scegliere di ricavare una svolta evolutiva, e dalla quale non possiamo del tutto sottrarci. Cioè, non si tratta di decidere se cambiare oppure no, ma di scegliere quale sarà la direzione che vogliamo che il nostro cambiamento prenda.

Le nostre esperienze possono seguire un percorso lineare, legato a tempo e spazio, o trascendere l’ordinario emergendo dalle profondità della nostra psiche e delle nostre lotte interiori. Possono essere sottili e graduali, facili e benvenute, o difficili e impegnative. Potremmo accogliere il cambiamento con accettazione e grazia, o con protesta e resistenza.

Il significato personale di ogni cambiamento, però, si palesa solo quando ci mettiamo davvero in moto per farlo accadere. Questo significa che passiamo da uno stato passivo in cui ci limitiamo a guardare come le cose si dispongono, a uno attivo dove iniziamo ad agire per far del cambiamento una nostra scelta. Spostare l’attenzione da ciò che accade a quello che facciamo con ciò che accade è un altro modo per descrivere una transizione.

Un po’ come qualcuno che prova le montagne russe tenendo gli occhi chiusi; potrà anche decidere di non riprovare mai più, ma chi apprezza le montagne russe sa che farle senza guardare significa non farne una reale esperienza, ma di limitarsi a stare lì, in attesa che tutto si compia da sé.

Quando cerchiamo di cambiare rischiamo di cadere in un errore simile; invece di viverlo come un processo di transizione, facendone una reale esperienza, chiudiamo gli occhi e speriamo che proseguendo dritti andremo nella giusta direzione. Ma dopo un po’ che camminiamo, iniziamo a chiederci che senso abbia il nostro proseguire e finiamo per lasciar perdere sulla scia del “è tutto inutile”.

Dunque, che cosa potrebbe succedere se smettessimo di pensare che il cambiamento sia qualcosa di impossibile, che non dipende da noi, per iniziare a parlare di quanto in realtà siamo già cambiati finora?

Se cercassimo di ricordare questo, forse ci riconosceremmo la necessità di tempo, prove ed errori lungo la strada che vogliamo intraprendere. Almeno, potremmo porre più attenzione ai progressi, piuttosto che alla pretesa di trovarci da un momento all’altro in una perfezione che neppure esiste.

Perciò, no, non è tutto qui. Non siamo fatti e finiti secondo carattere, ma siamo molto più capaci di flessibilità di quel che crediamo. C’è la biologia, c’è l’esperienza e poi c’è la mente, un potente strumento che spesso non usiamo abbastanza, con cui possiamo cambiare il modo in cui interpretiamo noi e la nostra realtà, con cui possiamo trasformare una crisi in opportunità e un cambiamento in rinascita.

Ci vuole un certo impegno per realizzare che possiamo smussare, invertire, cambiare quegli aspetti di noi che non ci soddisfano; la strada è lunga e faticosa, ma quello che dobbiamo cercare è il progresso a partire da chi siamo realmente, dal nostro materiale grezzo e non una perfezione dettata da un modello ideale irraggiungibile, che resta comunque privo di un reale significato per noi.

Perciò, ogni momento può diventare opportunità per prendere il controllo della nostra mente e scegliere chi vogliamo diventare, a piccoli passi, con gli occhi puntati sui nostri progressi e su quello che ancora possiamo fare per diventare finalmente più simili alla persona che sentiamo di poter diventare.

E voi, che cosa ne pensate? Si può cambiare davvero?

Se volete, fatemelo sapere nei commenti e se vi è piaciuto l’articolo, condividetelo!

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