La paura di restare soli
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Autoritratto con bottiglia di vino – Edvard Munch (1906)
La solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice.
Che cosa c’è di male nell’essere single? Dipende a chi lo chiediamo. Molti dei miei pazienti, soprattutto dopo la fine di una relazione, esprimono sempre lo stesso timore:
“E se non trovassi più nessun’altro?”
Quando cerchiamo l’amore, la paura di restare soli gioca una parte importante nel tipo di scelte che facciamo.
Il mito della persona sola che per questo soffre, si deprime e che non può essere felice perché sola, altro non è che il risultato di radicate aspettative sociali e culturali, nelle quali trovare un partner viene rappresentato come uno dei punti cardine del nostro benessere e della nostra felicità.
Spesso è la società stessa (e quante volte le nostre stesse famiglie) a stigmatizzare queste persone, considerandole incomplete, in attesa e necessariamente infelici.
Certo, l’amore e i rapporti in generale rispondono ad un nostro bisogno fondamentale dell’altro, per il quale siamo geneticamente programmati; diverso è, però, considerare la propria solitudine come un fallimento personale, dove essere single è qualcosa di negativo che porta a chiederci che cosa non vada in noi. Che sia nell’aspetto fisico, nel nostro carattere o nel numero di zeri dello stipendio.
Tutto questo non fa altro che metterci in condizione di accontentarci della prima persona che si ferma accanto a noi. Crediamo di non poter scegliere e apriamo la porta sperando che qualcuno entri a tenerci compagnia.
Quando questo accade, saremmo disposti ad accettare tutto pur di non vedere andare via un’altra persona, pur di non essere lasciati ancora in balia dei dubbi, della paura e della solitudine. Rivestire l’altro di tanta importanza, però, ci rende ciechi a quello che realmente stiamo permettendo; non ci poniamo le giuste domande e per questo, non otteniamo le risposte che ci servono.
“Porta felicità nella mia vita?”
“Mi tratta come vorrei?”
“Vogliamo le stesse cose?”
“Posso essere me stesso con questa persona?”
“La amo davvero?”
“Stiamo coltivando insieme questa relazione?”
“E anche se lo perdessi?”
La paura di restare soli, può quindi portarci a investire in relazioni che altrimenti non avremmo neppure preso in considerazione, conducendoci in un paradosso;
Legare la nostra felicità alla presenza di un partner,
rischia di portarci in relazioni che tutto portano tranne che la felicità.
Le persone che hanno questa paura, infatti, tendono a restare incastrate più facilmente in relazioni che non le soddisfano, in confronto a chi, invece, si sente tranquillo all’idea di restare solo.
Tutto ciò, dovrebbe portarci una riflessione. Oggi, infatti, non vi proporrò degli spunti in particolare, ma voglio solo invitarvi a fare questo, riflettere.
Mentre alcune persone tingono la loro solitudine di una cupa oscurità, molte altre nello stare sole riescono a trovare sé stesse, imparando a stare bene prima di tutto con quella persona che ci accompagna dalla nascita alla morte, l’unica che non ci lascerà mai.
Sì, proprio noi.
Infatti, come possiamo aspettarci che qualcuno apprezzi la nostra compagnia, se noi per primi non lo facciamo e anzi, la temiamo? Chi potrebbe amarci per come siamo se ciò che siamo è rinchiuso in profondità, tenuto lontano da tutti?
Forse quello che serve è un atto di coraggio, anzi, almeno due.
Il primo potrebbe essere quello di iniziare a guardare dentro noi stessi, a sbirciare con curiosità invece che con paura, lasciando stare l’idea che è dentro agli altri che possiamo trovare quello che cerchiamo. Imparare a stare soli è un’arte, soprattutto in una società dove si è continuamente incoraggiati a restare connessi. Avere amici, essere social, fare parte della tribù è certamente qualcosa di importante per il nostro benessere, ma lo è altrettanto coltivare quello spazio sacro e unico che ci metta in contatto con la nostra interiorità.
Il secondo, potrebbe essere quello di darsi la possibilità di scegliere le persone che entrano a far parte della nostra vita, invece che lasciare libero l’accesso a chiunque ci faccia sentire meno soli, a chiunque ci faccia provare una dolce emozione.
Negare questa parte solitaria della nostra esistenza, è, alla lunga, proprio ciò che amplifica quel vuoto pulsante dentro di noi, “nella distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice.”
Se lo chiedete a me, no, non c’è nulla di male nell’essere single.
E voi, che cosa ne pensate? La paura di restare soli dove vi ha portato?
Se volete, fatemelo sapere nei commenti e se vi è piaciuto l’articolo, condividetelo!
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