Nessuno può rovinarti la giornata, solo tu puoi
Se la felicità invece vive dentro di voi, siete voi a esserne responsabili.
Ultimamente più che mai, mi ritrovo a scrivere di argomenti sempre più connessi tra loro, che girano intorno ad un solo tema: La responsabilità personale. Sarà che noto sempre di più nei pazienti quel senso di resa proveniente dall’idea che ciò che li fa stare male derivi da quello che gli altri dicono o fanno, o dagli eventi negativi avvenuti nelle loro vite. Spesso, se il paziente non viene aiutato a spostarsi su un diverso modo di vedere le cose, non potrà che restare demotivato di fronte al fatto che ciò che ci succede e le azioni degli altri non sono direttamente pilotabili da noi. E quindi, in quest’ottica, che cosa resta da fare?
Se il mondo continuerà a ferirmi, deludermi, disprezzarmi, rifiutarmi (ecc..), come potrò mai trovare la felicità?
Riflettiamoci; quante volte ci capita che accada qualcosa che ci mette di cattivo umore? L’autista che ci taglia la strada e vuole anche avere ragione, nostra madre che sembra saper solo criticare, il nostro partner che per l’ennesima volta non fa quello che ci aspettavamo.
Sono nervosa perché uno stamattina stava per venirmi addosso.
Sono arrabbiato con mia madre che mi ha rovinato la giornata nel dirmi quelle cose.
Le parole del mio capo mi hanno fatto sentire così inetto che è tutto il giorno che lavoro male.
Questi sono solo esempi di quello che certe volte pensiamo quando ci sentiamo feriti, arrabbiati, delusi, nell’idea che l’altra persona o un certo evento ci stiano facendo sentire come ci sentiamo.
Infatti, quando sperimentiamo una reazione emotiva negativa, il nostro primo istinto è di incolpare il mondo esterno. Vediamo i nostri sentimenti feriti come la colpa di un altro e pensiamo che la soluzione sia d’impedirgli di ripetere questo comportamento doloroso oppure di evitare certe situazioni in futuro.
Ma è proprio così? Può davvero un’altra persona metterci di cattivo umore? Può un evento causarci direttamente un certo modo di sentirci?
Già Epitteto poco meno di 2000 anni fa affermava che “ciò che turba gli uomini non sono le cose, ma le opinioni che essi hanno delle cose”, e solo oggi questa affermazione ci suona più vera che mai.
Lo psicologo americano Albert Ellis* fu uno dei primi a mostrare sistematicamente come le nostre credenze determinano ciò che sentiamo e facciamo; cioè, che non sono gli altri, gli eventi o le circostanze a causare le nostre reazioni, ma esse sono il risultato di ciò che diciamo a noi stessi al riguardo.
Immaginiamo di restare coinvolti in un incidente tra due autobus quasi pieni, senza per fortuna alcun ferito; parliamo di circa 40 individui che in prima persona sperimentano uno stesso evento. Se fosse una situazione esterna a poterci causare da sola delle reazioni, allora tutte le persone coinvolte si sentirebbero e agirebbero nello stesso modo. Vi immaginate 40 persone spaventate nella stessa misura e che, soprattutto, reagiscono allo stesso modo? Sembra piuttosto facile immaginare che le cose non possono andare così. Qualcuno andrà nel panico, qualcun altro manterrà la calma, c’è chi rimarrà per i fatti suoi, chi cercherà di aiutare altri in difficoltà, chi cercherà di scendere al più presto per tornare ai suoi impegni, chi resterà tutto il tempo necessario per eventuali testimonianze o chi tornerà subito a casa per lo choc parlando di ‘esperienze premorte che fanno riflettere’.
Quello che cambia tra queste persone è il loro personale bagaglio che, ponendosi da filtro interpretativo della realtà, porta ognuno a sperimentare anche una stessa situazione in modi completamente diversi tra loro.
Anche se potrebbe sembrare che siano gli altri o le circostanze a causare la nostra risposta emotiva, la verità è che certe nostre reazioni emergono da una sensibilità precondizionata verso alcuni stimoli. Certi scenari ci innescano quella tale reazione e questo è più evidente in quelle situazioni dove ci troviamo sconvolti dal comportamento di qualcuno, mentre altri che erano presenti non sembrano neppure toccati dalla stessa scena. Ognuno di noi ha i sui personali “tasti dolenti”.
Poco tempo fa un mio amico mi ha mosso una critica che io ho vissuto come un attacco diretto alla mia persona. Quando ho provato a dire la mia, sembrava però non prendere in considerazione quello che io gli stavo dicendo. Così, mi sono sentito ancora più arrabbiato e ferito. Ma non appena ho iniziato a riflettere sui miei sentimenti, mi sono reso conto che quello che scatenava il mio dissenso era il sentirmi accusato ingiustamente senza avere possibilità di difendermi. Questo era il mio tasto dolente e veniva dalla mia infanzia. Uno dei miei fratelli, infatti, mi incolpava regolarmente per cose che in realtà aveva fatto lui e i miei genitori gli credevano tutte le volte.
La connessione con il passato è relativamente importante, perché ciò che conta è il riuscire a riconoscere quella particolare sensibilità presente in noi e farci qualcosa. Nel capire ciò che ci disturba, possiamo ridimensionarlo e liberarci da reazioni ormai automatiche e stereotipate come un copione.
Sviluppiamo talmente tanti punti emotivamente sensibili durante gli anni della crescita, che nessuno più della nostra famiglia è in grado di spingere quei tasti. E, inconsapevolmente, rafforziamo queste sensibilità ogni volta che abbiamo reagito come da copione. In questo modo, certi schemi mentali si radicano.
“Se tu non mi avessi risposto male, io non ti avrei lanciato i piatti”
Quante volte ci capita di ragionare così? In questo modo, però, ci mettiamo in condizione di giustificare qualsiasi nostra azione in virtù di quello che l’altro avrebbe fatto per provocarci. E quante volte le nostre reazioni ci fanno stare male con noi stessi? Possiamo continuare a raccontarci che qualcuno o qualcosa ci abbia rovinato la giornata, portandoci a reagire in modi che altrimenti non avremmo agito, ma alla fin fine, la responsabilità di tutto questo è solo nostra.
Dobbiamo assumerci la responsabilità anche delle nostre reazioni negative. È la nostra risposta emotiva e non è colpa di un altro se siamo sensibili in quel punto particolare.
Per questo, è il nostro sistema di credenze e di aspettative che dobbiamo attaccare, perché è quello a generare una fonte di malessere continuo e non quello che ci succede o quello che ci viene fatto e detto.
Ma immaginate di intraprendere questa strada di ricerca; la difficoltà è che non ci rendiamo neppure conto di quali siano le nostre credenze limitanti, proprio perché per noi sono implicite e scontate, e anche se le individuassimo, non sarebbe così facile fare breccia nella loro dogmaticità da noi inconsapevolmente alimentata.
Giulia e Andrea hanno frequenti discussioni sul modo in cui Andrea sceglie di organizzare il suo tempo libero. Infatti, lei crede che la coppia non passi abbastanza tempo insieme e incolpa di questo le uscite di Andrea con i suoi amici.
Quello che Giulia crede è che se una persona ne ama un’altra, farà di tutto per passare ogni minuto di tempo libero con lei e che se questo non accade, significa allora che questa persona non può essere innamorata.
Cioè, Giulia se la prende solo in apparenza per il comportamento di Andrea –uscire con gli amici-, mentre in realtà, è la sua interpretazione della cosa che rende Giulia delusa, arrabbiata e ansiosa, non il fatto di per sé. Finché, però, la discussione girerà intorno alla questione “uscire o non uscire con gli amici” probabilmente non sarà possibile affrontare il nocciolo autentico della questione e cioè la paura che Andrea non tenga davvero a lei a partire da credenze poco realistiche (come quella per cui se due persone sono innamorate allora devono passare tutto il loro tempo libero insieme).
Per quanto tutto ciò detto finora possa suonare come alieno, sarebbe indubbiamente un grande vantaggio prendere in considerazione questo capovolgimento della nostra realtà. È vero, non avremmo più nessun capro espiatorio per poter dire “ti ho risposto male perché sei insopportabile” o “la tua critica di stamattina mi ha rovinato la giornata”, ma dovremmo passare al “Che cosa mi ha fatto arrabbiare davvero? Che cosa ho pensato al riguardo? Perché ho reagito così?”, e questo fa un po’ paura. Ma, allo stesso tempo, ci renderebbe individui molto più liberi perché capaci sì di assumerci la responsabilità di noi stessi, ma anche di non prenderci in carico cose che invece sono di responsabilità degli altri.
A volte, infatti, tendiamo a sentirci in colpa per quello che ci sembra l’effetto che abbiamo sulle altre persone (magari perché sono le prime ad accusarci senza consapevolezza dei propri moti interiori). Naturalmente, ciò non significa che possiamo maltrattare qualcuno e infischiarcene del risultato, ma dobbiamo ammettere che molte volte ci facciamo troppi problemi rispetto all’effetto che crediamo di poter avere sugli altri.
Senza contare che – dulcis in fundo – tutto ciò vale anche per quello che di positivo sperimentiamo. Eh sì, non solo la nostra infelicità non dipende dagli altri ma, rullo di tamburi, neppure la nostra felicità! Ma di questo abbiamo parlato spesso, perciò mi limito a incollarvi un breve spunto che rende benissimo l’idea.
«Durante un seminario per matrimoni, hanno chiesto a una donna:
“Ti rende felice tuo marito?”
In quel momento il marito alzò il capo, sicuro della risposta: Sapeva che sua moglie avrebbe detto di sì, perché lei non si è mai lamentata durante questo tempo insieme.
Tuttavia la moglie rispose con un sonoro:
“No… Non mi rende felice..”
Il marito la guardò con stupore, mentre la donna continuava:
“Non mi rende felice… Io sono felice! Che io sia felice o no non dipende da lui, ma da me. Io sono l’unica persona da cui dipende la mia felicità, perché se la mia felicità dipendesse da qualche persona, cosa o circostanza sulla faccia di questa terra, sarei in guai seri.
Tutto ciò che esiste in questa vita, cambia continuamente. L’essere umano, le ricchezze, il mio corpo, il clima, i piaceri, ecc. E così potrei continuare per ore, elencando una lista infinita. Attraverso tutta la mia vita, ho imparato qualcosa; decido di essere felice e il resto le chiamo ‘esperienze’.
Amare, perdonare, aiutare, comprendere, ascoltare, consolare.
C’è gente che crede di non poter essere felice perché malata, perché senza soldi, perché fa troppo caldo, perché qualcuno li insulta, o se qualcuno ha smesso di amarli, o non li ha mai considerati; ma quello che queste persone non sanno è che si può essere felici anche essendo malati, anche se si è senza soldi, se si è sudati, se si riceve un insulto, o anche se qualcuno non ci apprezza.”» Jaime Jaramillo
Lasciamo perdere ipotetiche colpe, dunque, e pensiamo a quello che possiamo fare noi con noi stessi quando qualcosa ci disturba.
La prossima volta che vi sentite a disagio per qualcosa che vi è stato detto o per una situazione che vi ha fatto sentire male, considerate che il dolore è nelle vostre mani, insieme alla soluzione.
E voi, che cosa ne pensate? Chi o che cosa vi ha rovinato la giornata oggi?
Se volete, fatemelo sapere nei commenti e se vi è piaciuto l’articolo, condividetelo!
*(Pittsburgh, 27 settembre 1913 – New York, 24 luglio 2007) Fondatore della Rational Emotive Behavior Therapy, considerato il precursore delle terapia razionale emotiva e terapia cognitivo-comportamentale.
Ciao mi chimo Chiara sono una ragazza di 25 anni e vivo a Roma.. Spesso il mio umore viene condizionato da energie esterne e da persone.. Oggi a lavoro il mio capocuoco faceva battute sarcastiche e fastidiose su di me .. Sottolinea ogni cosa che dico o se faccio domande lavorative risponde sempre in modo altezzoso come se queste cose non dovrei chiederle.. Insomma mi sono sentita non apprezzata e valorizzata del mio lavoro e sminuita come se lui fosse sopra di me meglio di me e io non alla sua altezza.. Queste sensazioni mi hanno fatto chiudere al che mi sono rovinata la giornata ero triste quasi mi veniva da piangere.. Vorrei chiederle come faccio a non farmi influenzare le giornate il mio umore dagli altri?
Salve Chiara, intanto mi dispiace molto per questa situazione di disagio. Vorrei tanto poterle dire in poche righe come fare, ma in poche righe posso solo darle una direzione.. Bisogna conoscersi, comprendere cosa davvero che cosa ci disturba, che cosa questo dica di noi e averci a che fare; cioè attraversarlo per superarlo. Non è affatto facile, per questo può essere decisivo farsi accompagnare da qualcuno che sappia guidarci in questo cammino.
Un caro saluto