Il viaggio più lontano è quello all’interno di noi stessi

Quel che devi ai tuoi genitori

Andare sulla luna, non è poi così lontano.

 

Il viaggio più lontano è quello all’interno di noi stessi.

Anaïs Nin

Non c’è davvero fine a quello che può cambiare nella vita, eppure ci sono cose che si inseriscono nel tessuto della nostra storia così tanto che ormai sembrano rappresentarla e rappresentarci del tutto, completamente, definitivamente. Tanto che se mai contempliamo l’idea di perdere una di queste cose, subito sentiamo una pressione al petto e la sensazione che la terra ci venga tolta da sotto ai piedi.

Volere ad ogni costo che una cosa resti per sempre così com’è però, è come desiderare che non avvenga mai alcun cambiamento, il che può suonare rassicurante; perchè se nulla cambia, io non mi devo trovare ad affrontarne le conseguenze, cioè evito di dover affrontare il cambiamento, laddove me ne sento completamente incapace. Contemporaneamente, però, non c’è niente di rassicurante nel cercare di restare immobili in un mondo dove tutto cambia a prescindere da quello che vogliamo o non vogliamo. Cioè, posso anche barricarmi nella mia zona di comfort, ma intanto la vita scorre, le stagioni vengono e se ne vanno e rivengono e se ne rivanno, e le persone, per qualsivoglia motivo, usciranno dalla mia vita.

Uno degli aspetti più negativi è che cercando di tenere tutto così com’è, manteniamo anche noi stessi così come siamo, impedendo a tutto ciò che dobbiamo ancora sviluppare pienamente di emergere, e diventare elemento di cambiamento in noi.

Non pensiamo mai, o non abbastanza, a quello che potrebbe significare assecondare un cambiamento dall’ottica dell’opportunità; questo accade per molte ragioni, tra cui una radicata e profonda sfiducia rispetto a quello che saremo in grado di affrontare.

Incontro spesso pazienti che sostanzialmente non hanno fiducia in sé stessi; per essere ancora più specifica: Non hanno la fiducia di saper gestire le loro emozioni negative a seguito del cambio di uno status quo, come un divorzio o il rimettersi in gioco a livello lavorativo, credendo che non sapranno gestire la solitudine, per esempio, o l’ansia di dover performare perfettamente per trovare un altro lavoro.

Allora, magari, decidono di reprimere quella parte che chiede cambiamento, entrando in un conflitto interiore; tra la parte che sente che un cambiamento è necessario e spinge per ottenerlo, e l’altra che spaventata vorrebbe solo far sparire il resto e “stare bene come prima”.

Il punto è che non si potrà mai più “stare bene come prima” se quella spinta al cambiamento non troverà spazio.

Dunque, potremmo scoprire dopo tanti anni di non amare più la persona che abbiamo accanto (o di non averla mai amata), o potremmo scoprire che il percorso di studi e poi lavorativo che abbiamo scelto non ci rispecchia più (o mai lo ha fatto) e tutto ciò è necessariamente doloroso; ma questo non vuol dire che c’è qualcosa di sbagliato in come le cose cambiano o si rivelano con il tempo.

È una credenza molto diffusa quella del vedere gli esseri umani come se fossero creature che si sviluppano, cambiano e prendono decisioni determinanti per la propria vita solo nei primi 20-30 anni e che poi si dovrebbero trovare a vivere il resto di conseguenza, come fossero su dei binari ormai prestabiliti. Come dicevo, sembra rassicurante, e va bene che lo sia; la zona di comfort può anche dar frutto a uno slancio sano, fintanto che sia flessibile nel momento in cui qualcosa deve essere rivisto.

Ma quando invece la zona di comfort diventa una prigione?

Non incontro paziente che non viva, almeno in parte, questa lotta contro l’imprevedibile, l’errore fatale, la catastrofe e, da una parte, non hanno torto nel sentirsi a rischio di venire travolti dalle conseguenze emotive del cambiamento: Perché semplicemente nessuno ha mai insegnato loro a farci i conti.

Spesso hanno l’esempio delle loro generazioni precedenti e in molti modi diversi: Da come gestiscono i conflitti tra loro, da come li gestiscono con i figli stessi, da come reagiscono per primi al cambiamento. Quante volte hanno visto i loro genitori sopportarsi a malapena, ma sacrificarsi per “il bene della famiglia e dei figli” quando quel che stava in fondo accadendo era che avevano troppa paura di affrontare la paura.

Una volta una paziente mi disse una cosa che mi commosse molto: Che vedeva sua madre come un giradischi con un vinile bloccato sempre sullo stesso punto, e si chiedeva che melodia avrebbe potuto far uscire se solo il disco avesse continuato a girare. Immaginava che sarebbe stata una melodia molto bella, ma che nessuno l’avrebbe mai sentita. Neanche lei stessa.

Perlomeno la paziente da questo trae un esempio che diventerà il faro della sua vita: Che la cosa più importante per lei sarà quella di aiutarsi a non restare bloccata nella stessa parte per sempre. Che la sua vita avrebbe avuto un senso solo permettendo a questa melodia di emergere ed esistere.

E per quanto riguarda le nostre melodie? Impedire il cambiamento, trattiene e condiziona la nostra melodia; non la trasforma, ma la deforma. E così anche noi ne usciamo deformati.

Sempre tristi, o arrabbiati, o ansiosi, o apatici, o irrequieti, o chi ne ha più ne metta. E anche quando le cose vanno bene, non basta mai, perché le cose non possono andare davvero bene se restiamo incastrati su una nota e andranno ancora peggio se ci continuiamo a raccontare bugie al riguardo.

Ci raccontiamo che se le cose cambiano saremo perduti, che non avremo più niente, che non saremo più niente.

Questo è un punto importante, può essere un punto di svolta. Perché se davvero crediamo che perdendo quello che abbiamo oggi non saremo più niente (o perlomeno che non staremo più bene, che nulla sarà mai più bello ecc) allora dovremmo chiederci su che cosa stiamo basando la nostra vita.

Quanto possiamo stare bene dipende solo dalle cose esterne che abbiamo?

Guardiamo tanto al fuori, come se fosse tutto lì da trovare e non guardiamo dentro. E quindi di fronte ad una percepita minaccia, piuttosto che guardare dentro e sviluppare quello che abbiamo lì, continuiamo a guardare fuori e quindi a cercare di esercitare controllo su quel che è esterno, affinché di conseguenza aggiusti ciò che sentiamo dentro.

Allora, faccio quella cosa così mi renderà felice, o non faccio quella cosa così non avrò ansia. Vado da quella parte così riceverò un riconoscimento e mi sentirò per questo gratificata, non vado da quell’altra parte perché potrei deludere e se deludo poi mi sento in colpa e sola.

Invece, il viaggio più lontano è all’interno di noi stessi, perché in realtà è lì che si trovano tutte le risorse, che sfruttate al meglio ci consentono poi di poter sfruttare al meglio anche quello che di buono per noi può esserci fuori. Ad esempio, maggiormente sarò capace di stringere legami con gli altri, maggiormente potrò potenzialmente avere a mio vantaggio una rete sociale sufficientemente buona. Se già nel rapporto con me stessa vivo tensioni e conflitti, è molto più probabile che qualcosa nelle relazioni che stringo non sia di conseguenza così genuina e funzionale.

Dunque, se non sono felice, può essere perché non ho capito che cosa mi rende felice e che devo trovare la risposta da dentro di me?

Se delle situazioni mi sollecitano ansia, può essere perché non so bene che cosa mi spaventa e quindi neppure so se e come affrontarlo?

Ma rispondere a domande del genere appunto, è pericoloso se si vuole evitare di cambiare. Porsi tali domande e tenerle aperte, significa già mettere un piede nell’ignoto. Perché se poi mi rispondessi che non sono questo personaggio che sto dipingendo, ma che sono tutta un’altra persona? Cosa significherebbe per la mia vita? Dovrei ricominciare da capo? Buttare tutto l’investimento speso finora?

Forse, in un certo senso. Ma vorrebbe anche dire cominciare ad esplorare scoprendo di essere portatori di un intero mondo altro, unico, un pianeta ancora sconosciuto che starà a noi scoprire.

E dove ci potrebbe portare ciò?

Forse la paura direbbe: “Verso l’ignoto”,

mentre la fiducia direbbe: “Verso l’infinito e oltre”.

E tu, che cosa ne pensi? Cerchi anche tu di evitare un incontro con l’ignoto che è dentro di te?

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