Quando la fede è nella razionalità

Quando la fede è nella razionalità
Una mente tutta logica è come un coltello tutto lama.

Fa sanguinare la mano che lo usa.

Rabindranath Tagore

Questo titolo ha qualcosa che non va, non vi pare? Come mai accostare la razionalità alla fede, non ha senso. A meno che, non volessi fare un po’ di ironia su una cosa che noto spesso, non solo intorno a me nella vita quotidiana, ma anche con i pazienti.

Coloro che prendono decisamente sul serio la razionalità, sono di solito anche coloro che si oppongono fermamente alla fede, di qualsiasi tipo si tratti. La condannano come irrazionale, ma finiscono per cadere nell’estremo opposto elevando la ragione a suprema, paradossalmente creando a loro volta una sorta di dio indiscusso da idolatrare.

È importante ricordare che si può finire sotto la tirannia della ragione, proprio come si può finire sotto quella di un dio. E questo accade quando non riusciamo a riconoscere che la ragione ha dei limiti.

La ragione è piena di limiti: Volere non è potere

Alcune persone tendono a pensare al cervello come all’amministratore delegato del corpo e il pensiero razionale come la forza predominante delle loro vite quotidiane.

Nelle nostre vite di tutti i giorni, infatti, ci aggrappiamo alla credenza che la nostra logica sia alla guida. E anche se può succedere di agire impulsivamente, basterà ricominciare a seguire la ragione. Giusto?

Non necessariamente.

Intanto, è importante definire il significato del termine “razionale”. Colloquialmente, “razionale”, ha diversi significati. Può descrivere un processo di pensiero basato sulla valutazione oggettiva dei fatti (più che su superstizione o forti sensazioni) dove la decisione presa dovrebbe massimizzare i benefici, e quindi definirsi “sensata”.

Un po’ come dire che una nostra decisione razionale dovrebbe corrispondere a quella che prenderebbe un computer che si appresta a valutare i dati a sua disposizione.

Il problema è che una decisione razionale non è sempre sensata.

È possibile che una decisione apparentemente logica sarebbe quella di tenersi stretto il lavoro se senza ci troveremmo senza poter provvedere alle nostre necessità basilari; ma se restare in quel lavoro significasse stare male perché non ci piace, per esempio, come fa a essere davvero la decisione giusta? Sarebbe sensata se il nostro unico bisogno fosse sfamarci o avere un tetto sopra la testa. Ma sappiamo che, spesso, pur avendo tutte le “carte in regola” per essere felici, non è detto che poi sia così che ci sentiamo.

I nostri processi decisionali, dunque, sono dettati da una serie di fattori irrazionali e la sindrome di Capgras è il perfetto esempio di come tali fattori possono mandare in corto circuito una mente logica.

Quando incontriamo qualcuno, due cose accadono nel cervello. I nostri centri visivi esaminano gli attributi fisici della persona che abbiamo di fronte e li abbinano ad un modello memorizzato nel lobo temporale, permettendoci così di classificare la persona. Questa informazione viene poi trasmessa al sistema limbico che evoca i sentimenti ad essa connessi.

Le persone che soffrono della sindrome di Capgras fanno esperienza solo della prima metà di questo processo. Poiché i loro lobi temporali sono integri, possono riconoscere che la persona in piedi di fronte a loro sia effettivamente identica alla loro madre, ma questo riconoscimento non evoca alcuna risposta emozionale. Il modo in cui il cervello rimedia a questa dissonanza è compiendo un salto logico:

“Questa persona ha le stesse sembianze di mia madre, ma non sembra mia madre, perciò deve trattarsi di un impostore”.

Inoltre, se la persona in questione fosse inconsapevole della sua condizione, questo responso potrebbe essere comprensibile. Ma quel che davvero sembra disorientante è che neppure spiegargli la situazione serve a far cambiare la sua impressione. Non importa quante volte gli venga detto che sta soffrendo di una condizione neurologica, lui continuerà a credere di essere circondato da cloni.

Se la mente razionale fosse stata al volante, sarebbe più logico per il paziente accettare la spiegazione del dottore. Ma in questo caso le emozioni vincono sulla logica.

La mente semplicemente non riesce ad accettare che un partner, una madre o un fratello non suscitino alcun sentimento, così, il delirio persiste.

Tendiamo spesso a credere che lasciarci influenzare dalle emozioni nel prendere una decisione sia un errore, come accade nella sindrome di Capgras, ma questa è più l’eccezione alla regola.

Infatti, le emozioni sono essenziali per un sano funzionamento dell’individuo. Molti dei miei pazienti arrivano stremati dalle loro stesse razionalizzazioni che riducono la vita in uno spazio troppo angusto per poter sviluppare appieno il loro potenziale.

Senza emozioni saremmo perduti

Generalizzando un po’, è una tendenza della nostra società quella di innalzare al massimo il valore della logica, come se l’obiettivo fosse di usare solo questa; ma, senza emozioni, la mente razionale diventa completamente incapace di prendere decisioni.

Non ne siete convinti?

Il neurologo Antonio Damasio ha passato anni a studiare pazienti che non potevano generare emozioni poiché mancavano delle regioni cerebrali necessarie. Tecnicamente, ci si aspetterebbe che un essere umano senza emozioni diventi una sorta di computer infallibile ma, invece, questi “invalidi emotivi” soffrivano di una miriade di problemi, dove la loro caratteristica più marcata era l’incapacità di prendere decisioni anche apparentemente banali.

Potevano descrivere quel che avrebbero dovuto fare in termini logici, eppure potevano letteralmente passare ore e ore a cercare di decidere, per esempio, se usare la penna nera o la penna blu, o magari se mangiare carne o pesce per cena. Senza gli input emotivi, cioè, diventa impossibile valutare le diverse possibilità logiche a disposizione.

La logica da sola non basta

Abbiamo eletto la razionalità a signore supremo che da solo può indicarci “la via”, ma la realtà è troppo più complessa dei nostri tentativi di spiegarla, etichettarla, farla rientrare dentro i nostri contenitori di senso e nelle nostre belle cornici.

Ma, nonostante cresca l’affidamento ai dati concreti per compiere scelte, è chiaro per chiunque abbia un briciolo di consapevolezza personale che noi umani siamo incapaci di pensare razionalmente in maniera costante. Semplicemente non abbiamo il tempo e/o la capacità di calcolare le probabilità statistiche e i potenziali rischi che potranno scaturire da una determinata scelta.

Ma anche se fossimo in grado di vivere secondo calcoli tanto precisi, riuscirci ci metterebbe, pensate un po’, in una posizione di svantaggio. Questo accade perché le nostre vite affondano le loro radici in una profonda incertezza, dove la semplice logica non può farci da guida.

In un mondo dove possiamo calcolare i rischi, razionalità è affidarsi a statistiche e alla teoria della probabilità. Ma in un mondo fatto di incertezze, dove non sappiamo tutto, il futuro può essere diverso dal passato e le statistiche da sole non possono fornirci le migliori risposte.

Nel mondo reale le più importanti decisioni si appoggiano, almeno in parte, sulle preferenze soggettive. Il numero di fatti oggettivi che veramente possiamo definire così è molto più basso di quel che crediamo; quasi trascurabile nella vita di tutti i giorni.

Per esempio, se un mio amico mi offrisse 50 euro oggi o 100 euro tra un anno, logicamente dovrei scegliere l’opzione che in definitiva mi porterà il guadagno più alto. Ma immaginate la scena nel mondo reale: Se aspettassi 12 mesi per ricevere la somma raddoppiata, il mio amico, intanto, potrebbe dimenticarsene, rompere la promessa o chissà che altro. Le infinite variabili del mondo reale, allora, potrebbero spingermi ad accettare una ricompensa anche più bassa, ma sulla quale sono almeno sicura di poter mettere le mani. E, probabilmente, è quello che fareste anche voi.

Ascoltiamo di più il nostro istinto

Pensate anche a quanto tendiamo a considerare poco affidabile il nostro istinto in questa mania di esaltazione della razionalità. Con l’istinto crediamo di poter compiere scelte facili, banali, magari nell’indecisione tra un gelato o un pezzo di pizza, ma non scelte più complesse e importanti come l’acquisto di una casa o se sposarci oppure no. Ma, poiché le emozioni emergono dalla nostra mente inconscia, esse tendono a riflettere più informazioni rispetto alla mente razionale.

Cioè, in quale casa vogliamo vivere o se sposarci o meno, sembrano proprio alcuni di quei dilemmi che invece potremmo risolvere più agilmente affrontandoli con un approccio più intuitivo che logico.

Un buon esempio di questo è nella storia di un operatore radar della Marina Britannica durante la guerra del Golfo. Michael Riley, questo è il suo nome, il 24 febbraio del 1991, stava osservando lo schermo radar quando vide un puntino diretto verso la corazzata americana che gli suscitò un fortissimo senso di allarme. Pur seguendo la stessa rotta dei jet alleati, qualcosa, non sapeva che cosa, gli diceva che si trattava invece di un missile aereo in procinto di schiantarsi contro l’equipaggio.

Decise, contro ogni logica, di fare fuoco e solo il giorno successivo scoprì di aver compiuto la scelta giusta, abbattendo un missile e salvando così la corazzata americana e tutti coloro che si trovavano a bordo.

Riley non sapeva spiegare come avesse fatto a capire che quella fosse la cosa giusta da fare e come mai ne fosse così convinto. Finché, diversi anni dopo, la Marina Britannica scoprì l’arcano: Michael aveva inconsciamente rilevato una sottile discrepanza di distanza dalla costa rispetto ai velivoli alleati. Una discrepanza quasi irrilevabile a occhio nudo, ma capace comunque di allertare i sensi dell’operatore tanto da lanciare un missile e salvare numerose vite.

A volte, decisioni istintive sono più affidabili di decisioni prese usando al massimo i nostri processi cognitivi. Sembrerebbe incredibile no?

Eppure, non così tanto se pensate al nostro cervello razionale come a una tecnologia piuttosto recente, piena, appunto, di difetti di progettazione e virus, come ogni altra; mentre il nostro cervello emotivo è stato meravigliosamente rifinito dall’evoluzione nelle ultime centinaia di migliaia di anni.

Certo, le emozioni possono farci deragliare, come però può farlo esercitare il pensiero razionale all’eccesso. Perciò, potremmo scoprire che cercare un compromesso è “un gioco vale la candela”.

Rifugiarsi nella razionalità

Quando ci aggrappiamo sempre alla ragione, dovremmo chiederci se non si tratti di una via di fuga; il rifugio nella razionalità potrebbe, allora, essere il tentativo di evitare la nostra irrazionalità e aspetti di noi stessi che ci sembrano senza senso, in un mondo già abbastanza caotico e pieno di incertezze.

Non ci viene in mente che queste parti di noi potremmo imparare a gestirle e farle lavorare in sinergia, magari perché non crediamo si possa fare o non abbiamo assolutamente idea di come farlo.

Del resto, se non a breve o medio termine, almeno a lungo termine, le emozioni positive dovrebbero essere la conseguenza delle nostre decisioni, e possiamo scegliere quale strada prendere solo se sappiamo cos’è che vogliamo o non vogliamo davvero, cos’è che cerchiamo dalla vita e da noi stessi, solo se, cioè, conosciamo anche il nostro mondo emotivo. I fatti da soli non ci dicono nulla, ma devono andare a braccetto con le preferenze, con i desideri, con tutto ciò che ci crea piacere o dispiacere, per guidare il nostro comportamento. Anche se conoscessimo perfettamente i dati oggettivi, potremmo ancora non avere idea di quel che sia meglio fare.

Nessuno è perfetto e ci sono pro e contro in ogni cosa. Ma, dopotutto, siamo di gran lunga meglio equipaggiati per il mondo reale di un qualsiasi super computer.

Siamo inevitabilmente irrazionali e pensatori più efficaci proprio per questo.

E voi, che cosa ne pensate? 

Se volete, fatemelo sapere nei commenti e se vi è piaciuto l’articolo, condividetelo!

 

Antonio Damasio (1995) L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano. Biblioteca Scientifica.

University College London (2007) Trusting Your Instincts Leads You To The Right Answer. ScienceDaily.

Jonah Lehrer (2009) How We Decide. Houghton Mifflin Company.

Fonte online

Fonte online

Immagine: Salvador Dalì – La persistenza della memoria (1931)

Passato, presente e futuro sono entità astratte, pure convenzioni

determinate dal razionalismo illuminista. Infatti Dalì in questa

raffigurazione trasmette il relativismo temporale. Baumann

parla di società liquida e allo stesso modo Dalì trasmette questo

liquefarsi del tempo che diviene un surrogato della “realtà”

che non è fatta di regole rigide, di costrutti teorici o di misurazioni

convenzionali, bensì la realtà è cosi come ci appare, dal punto

di vista fenomenologico cioè delle nostre esperienze consce.

Qui vediamo il tempo, quello comune a tutti prescritto dagli

orologi, che ne sono il simbolo, liquefarsi al sole in un deserto

come se l’ora fosse reale soltanto per se stessa, quindi soggettiva

e relativa. Sullo sfondo si intravede dell’azzurro mare come se al

di là di questo deserto esistesse della vita oltre, una nuova

nascita, un nuovo inizio oltre la convenzione sociale che ci

costringe in una morsa del “fai in fretta” e della scadenza. L’unica

persistenza della realtà è quella soggettiva, quella della memoria

e del sogno. Nella memoria persistono passato, presente e futuro

che si sgretolano fondendosi nella coscienza in un unica

percezione immanente. Evocativo di tempo infinito, di un

esistenza ultraterrena e di una lotta contro il razionalismo

disperato che etichetta l’uomo stesso come fosse una macchina

che agisce e reagisce secondo regole predeterminate.

Invece forse “al di là” del tempo, “al di là” delle percezioni

esiste altro, un altro, forse, pieno di luce.

F. Gardelli

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *