Tutto ciò che ammiri negli altri dice qualcosa di te
Di recente, in un altro articolo, abbiamo parlato di come ciò che ci infastidisce degli altri dica più di noi che di questi altri, introducendo sommariamente il concetto di “proiezione”, in quel caso negativa.
Solitamente, infatti, è in questa chiave che se ne parla, portandoci a credere che la proiezione sia esclusivamente l’atto psicologico di scaricare qualità indesiderate su qualche capro espiatorio, così che possiamo liberarci dal disagio di accettarle come nostre.
Ma questo importante processo non riguarda solo il negativo che vediamo intorno a noi, ma ha anche una componente positiva.
In effetti, la proiezione è un atto psichico che lavora in entrambe le direzioni; non solo come un modo per scaricare tratti indesiderabili, ma anche per liberarci di quelli desiderabili, in ciò che potremmo chiamare “proiezione positiva”.
Psicologicamente parlando, il processo è esattamente lo stesso, l’unica differenza è che il ricettacolo della nostra proiezione negativa è buttato giù, trasformato in capro espiatorio, denigrato, mentre il ricettacolo della proiezione positiva è tirato su, posizionato su di un piedistallo, idolatrato.
La storia biblica del vitello d’oro rende bene l’idea; in questo racconto, la statua è frutto delle abilità artistiche e creative dell’uomo che finisce poi alienata dalle stesse mani creatrici e idolatrata come un dio, come qualcosa di distinto e superiore agli esseri umani che l’hanno generata.
Sia che le qualità proiettate siano desiderabili o indesiderabili, volute o non volute, positive o negative, il processo resta lo stesso e il suo risultato è l’alienazione. La persona che proietta svuota sé stessa delle qualità che le appartengono, per vederle poi negli altri (persone, gruppi, istituzioni, idee che la circondano).
Prendetevi un momento per pensare a qualcuno che ammirate più di chiunque altro nella vostra vita: Che cosa vi porta a vedere questa persona in chiave tanto positiva? Il suo coraggio? O magari la sua modestia? La sua tenacia, il suo talento o che altro? Provate a mettere insieme un paio di qualità che ammirate di questa persona.
Ora ‘sentite’ questa: Queste qualità sono in voi, che cercano di uscire fuori. Ecco perché potete vederle così chiaramente nelle altre persone.
Cioè, così come è più facile “vedere la pagliuzza negli occhi dell’altro, che la trave nel nostro occhio” lo stesso vale per le qualità positive che non riconosciamo in noi stessi e che notiamo, invece, facilmente intorno a noi.
Quando investiamo qualcuno della nostra proiezione positiva, siamo più aperti e ben disposti nei suoi confronti, le sue parole hanno più peso e le sue azioni sembrano dense di significato.
Però, se ci limiteremo a vedere negli altri ciò che non riusciamo a vedere in noi, non potremo mai prenderci la responsabilità di ciò che abbiamo bisogno di coltivare. Dobbiamo riconoscere quelle che sono nostre qualità e crederci per portarle in superficie. Se le lasciamo nell’inconscio, cercheremo sempre una guida e un maestro al di fuori di noi.
A volte, queste “guide” o questi “maestri” cerchiamo di imitarli in qualche misura, ma questo può essere solo un inizio, perché l’imitazione non riesce a rendere giustizia alla nostra unicità e a ciò che ognuno di noi può fare con essa attraverso le proprie qualità.
La nostra cultura è permeata da questo tipo di proiezione; siamo pieni di eroi da idolatrare e in molti contesti diversi, relazioni, famiglia, scuola, lavoro.
In ogni campo, ci sono personaggi su cui tantissimi individui proiettano le migliori parti di loro stessi; dalle persone famose, al nostro partner, ma anche sui nostri amici, colleghi e vicini.
Mettiamo che stiate cercando di diventare bravi oratori; probabilmente vi ispirerete a qualcuno che secondo voi è bravissimo a parlare in pubblico. A volte, lo idolatrate, guardando e riguardando anche il più piccolo gesto. Ammirate la sua calma e sicurezza sul palco.
Anche qui, state proiettando. Avete rinnegato la vostra parte che è ‘sicura di sé’ e vi siete identificati con quella parte di voi ansiosa e paurosa. Altrimenti, non vi sentireste così in soggezione nel guardare questa persona all’opera e avreste notato le sue insicurezze dietro alla facciata; cioè, non lo vedreste come una specie di mito, ma come un normale essere umano.
La differenza tra voi e lo speaker è principalmente che lui sta investendo energie per stare su quel palco, che sia onesto rispetto alle sue insicurezze oppure no. In ogni caso, queste ‘insicurezze’ sono lì e se non le vedete è solo perché state proiettando.
La verità è che vediamo il mondo nell’unico modo in cui possiamo vederlo, attraverso i nostri occhi. La lettura che facciamo delle cose risponde ai nostri personalissimi filtri di lettura; nessuno può guardare il mondo da una prospettiva oggettiva, per quanto si possa impegnare nel farlo o per quanto possa credere di riuscirci.
Ma il problema, come dicevamo, non è la proiezione di per sé, ma quando non riprendiamo possesso di ciò che ci appartiene, per reintegrare il nostro potenziale latente.
Infatti, dovremmo tutti recuperare le nostre proiezioni mentre diventiamo adulti; in questo modo potremmo crescere forti, capaci, maturi, con tante abilità quante ne possiamo immaginare.
Eppure, la realtà è ben diversa e finiamo spesso per vivere senza consapevolezza di questo meccanismo e di ciò che comporta per le nostre vite. A volte, non riusciamo neppure lontanamente a prendere in considerazione che il limite della nostra oggettività sia un fatto e non una mera opinione.
Quante volte ci siamo sentiti delusi nello scoprire che il destinatario delle nostre proiezioni non era poi così fantastico come pensavamo? Ci si sente confusi, scioccati, traditi. Ma questo solo perché non ci rendiamo conto di come la proiezione funzioni.
In primo luogo, dobbiamo tener conto del fatto che sin da piccoli cominciamo a costruire un senso di identità che dipenderà, in gran parte, dai feedback che riceviamo dall’ambiente.
Ancora adesso, se ve lo chiedessi, sapreste dirmi chiaramente chi voi siete?
Nel tentativo di rispondermi, probabilmente, non fareste altro che elencare una serie di etichette, magari evocate da quello che gli altri dicono di voi e che cercano di tener conto di una certa coerenza.
Tutto questo va a formare quella che è la nostra identità cosciente, ciò che crediamo di sapere su di noi. Ma tutto quello che, invece, andrebbe in conflitto con questa idea che abbiamo della nostra identità ci crea stress, anche se si tratta di qualità positive.
Per esempio, potremmo avere una mente acuta e un grande cuore, ma queste qualità potrebbero contraddire il nostro comportamento recente etichettato da noi e/o dagli altri come “stupido” ed “egoista”.
Sembra incredibile che finiamo per tagliar via una cosa che invece è buona, ma la nostra mente non apprezza ambiguità e confusione; essa non sa che fare di queste qualità, non sa come integrarle in un’immagine unica e coerente di noi e per questo non le resta che liberarsene come non ci fossero mai state.
In secondo luogo, padroneggiare queste qualità comporta grandi responsabilità che non sempre siamo disposti a prenderci. La proiezione, difatti, è un meccanismo difensivo, cioè, ci permette di sentirci al sicuro in un terreno che, pur essendo piccolo, almeno ci è noto. Rientrare in possesso delle nostre proiezioni, del brutto e del bello, ci porta quindi in terreno straniero, dritti verso l’ignoto che tanto temiamo.
E c’è di peggio; riprenderci ciò che è nostro significherebbe che non avremmo nessun altro da ‘incolpare’, se non noi stessi. Significherebbe che nessuno del nostro passato o del nostro futuro sarebbe determinante rispetto a chi siamo e saremo, se non proprio noi.
Ciò, può sembrare davvero terrificante per quella parte di noi che resiste al cambiamento e alla crescita.
Infine, mettiamoci anche che alcuni di noi approcciano la vita con un atteggiamento mentale rigido, nella radicata convinzione che la nostra intelligenza e le nostre abilità siano statiche. Ciò, porta a sprecare le nostre energie a invidiare, idolatrare e scimmiottare personaggi stereotipati, piuttosto che investirle nel miglioramento di noi stessi. Ci ritroviamo, cioè, a proiettare sempre il nostro potenziale sugli altri, senza mai metterci d’impegno nella realizzazione di noi stessi.
Con un atteggiamento mentale rivolto alla crescita, invece, partiamo dalla convinzione che tutte le nostre abilità possano essere migliorate; ciò porta al desiderio continuo d’imparare e alla tendenza di trarre spunti e ispirazione dal successo degli altri. In questo modo, ci mettiamo in condizione di realizzare sempre più del nostro potenziale, dandoci un maggior senso di autonomia e libertà.
Perciò, iniziate a pensarci: Non abbiamo proprio idea di quello che realmente potremmo raggiungere se solo ci mettessimo in condizione di farlo e non siamo affatto consapevoli delle preziose risorse già presenti in noi; come la nostra forza innata, la determinazione, la disciplina, i nostri talenti, il coraggio e la creatività che abbiamo a disposizione. Robert Johnson, psicoanalista Junghiano, definisce l’insieme di queste risorse come “oro interiore”.
L’oro interiore è il valore più alto nella psiche umana.
È la nostra anima, il nostro sé, la parte più profonda del nostro essere.
Siamo noi al nostro meglio.
Ognuno di noi ha quest’oro; esso non viene creato, ma va scoperto.
Comprendiamo a malapena quanto ciò che percepiamo negli altri e nel mondo sia in realtà parte di noi, e, per questo, gran parte del nostro cammino richiederà l’acquisizione di una certa consapevolezza; riconoscere dove investiamo le nostre energie, che cosa notiamo negli altri e perché, può farci distinguere meglio quelle che sono parti di noi da scoprire e portare alla luce.
E voi, che cosa ammirate negli altri e perché? Che cosa ha a che fare questo con voi?
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